L’inferno dei cavalli delle corse clandestine

Otto persone arrestate e 13 denunciate per scommesse e gare clandestine di cavalli, con l’aggravante della presenza di minori, nell’ambito dell’operazione “Bucefalo”, realizzata nei giorni scorsi dalla squadra mobile di Enna con la collaborazione dei commissariati di Piazza Armerina, Leonforte, Nicosia, Niscemi e da reparti del comando provinciale della Guardia di finanza. È soltanto l’ultima delle operazioni di repressione del fenomeno delle corse clandestine di cavalli, piaga molto diffusa in Sicilia, dietro le quali si nascondono l’inferno per gli animali, i business illegali di scommesse e macellazioni clandestine e una “cultura” dell’illegalità che si tramanda di generazione in generazione, con l’arroganza del potere delle cosche che si impone su uno Stato troppo spesso “distratto”. Ma per Ciro Troiano, criminologo responsabile dell’Osservatorio zoomafie Lav, il blitz ennese potrebbe rappresentare un punto di svolta: «Per la prima volta sono stati effettuati arresti, prevedendo come aggravante la presenza e la compartecipazione di minorenni. La presenza di minori è un’aggravante perché rappresenta una scuola di malaffare e di crudeltà criminale, in un contesto dove l’illegalità è una condizione normale».

Viene da chiedersi come mai le corse clandestine dei cavalli siano una piaga soprattutto in Sicilia: «In realtà sono molto diffuse anche in Campania, Calabria e Abruzzo per un’atavica tradizione legata al mondo dei cavalli che si innesta in una cultura di antropologia criminale legata alle tradizioni dei boss e della malavita organizzata. Basti pensare che molti clan – dai Santapaola a rappresentanti della Stidda – hanno la passione del cavallo, simbolo di bellezza, forza, gloria, potenza. Quando vince un proprio cavallo non è solo una questione legata alle scommesse clandestine, ma al prestigio, alla gloria, alla potenza, a quei valori di cui il mafioso si nutre».

Nulla a che vedere, dunque, con l’amore per gli animali, che vivono invece un vero e proprio inferno in terra: maltrattati, drogati e dopati, costretti a correre sull’asfalto, rinchiusi in stalle fatiscenti: «Le corse clandestine di cavalli sono una manifestazione di dominio: dominio territoriale, anzitutto. Basti pensare che queste persone occupano le strade, impediscono la circolazione, dominano il territorio: e la prima vittima di questo dominio è l’animale, tenuto spesso in situazioni inimmaginabili, in stalle di fortuna, in situazioni igieniche spaventose, sottoposto a maltrattamento farmacologico con l’utilizzo di sostanze dopanti e farmaci non autorizzati. E che poi subisce l’apoteosi del maltrattamento durante la corsa clandestina, in cui è costretto a correre sull’asfalto (con conseguenti traumi ai tendini e agli zoccoli), in mezzo alle macchine, circondato da motorini che strombazzano, frustato». Già, frustati, perché contrariamente alla vulgata, la pelle dei cavalli sarebbe particolarmente sensibile: le frustate procurano dolore e, d’altra parte, se l’animale non sentisse dolore, non correrebbe. Dopo questo girone infernale, i cavalli morti sono spesso macellati: «E questo è un maltrattamento che diventa anche violazione dei diritti umani. Spesso i diritti degli animali e quelli umani sono violati contemporaneamente: un cavallo usato nelle corse clandestine, il più delle volte è già stato sfruttato nell’ippica ufficiale e non può quindi essere destinato alla produzione alimentare perché nel corso della loro vita gli animali da corsa sono curati con sostanze farmacologiche che non possono essere utilizzate negli animali “destinati” all’alimentazione umana. Il cavallo utilizzato nelle corse clandestine, una volta morto o ferito viene o abbandonato per strada causando incidenti stradali in cui vengono coinvolte persone, oppure è macellato clandestinamente, con la possibilità di causare problemi di salute in coloro che si ostinano ancora a mangiare carne».

Al di là del discorso culturale, resta comunque il business delle scommesse: e sui soldi che girano attorno a questo fenomeno si può fare solamente una stima approssimativa. «Ogni settimana ci saranno decine di corse che si svolgono in Italia e ognuna è legata alle scommesse. Volendo calcolare un minimo sindacale di mille euro a corsa, è un business che dà alti introiti e che è tra l’altro legato ad altri fenomeni come il furto dei cavalli, la vendita di puledri, la vendita del seme degli stalloni». Un business a tutto tondo che, non a caso, attira i clan e le cosche.

Cosa fare? «Noi della Lav da anni proponiamo poche semplici cose: la tracciabilità di tutti gli animali, che già esiste con l’obbligo del microchip per i cavalli. Ma l’operatore di polizia per risalire all’identità di un animale, nonostante il microchip, deve fare una serie di riscontri che inibiscono il controllo immediato. Poi esiste l’applicazione di attività di prevenzione, di misure personali nei riguardi di coloro che sono pregiudicati per mafia e associazione a delinquere finalizzata al maltrattamento di animali o alle scommesse clandestine: questi non dovrebbero potere essere proprietari o tenutari di cavalli da corsa, stalle, maneggi. Sarebbe utile poi utilizzare i collaboratori di giustizia. Non ultimo, bisogna inasprire le pene per chi corre su strada con mezzi trainati da animali: oggi tutt’al più si viola il Codice della strada e si è puniti con una sanzione amministrativa. Questo è paradossale in un tessuto sociale come quello di alcune zone d’Italia dove il fenomeno delle corse clandestine è sicuramente ad elevato allarme e pericolosità sociale. Bisogna inasprire le pene e vietare la circolazione di questi mezzi trainati da animali. E infine, controlli, controlli e ancora controlli».

Anche perché lo Stato sembra poco interessato a smantellare questo business tentacolare: «Ogni anno in media personalmente soltanto per le corse clandestine presento all’autorità giudiziaria almeno due o tre spunti investigativi con dati precisi, riferimenti e così via. Ma ahimè, il più delle volte viene tutto archiviato». Eppure basterebbe poco: su Youtube ci sono decine di filmati di corse clandestine di cavalli, «in cui si vedono persone in faccia, alcune addirittura si presentano, e sono visibili numeri di targa di auto e di motorini. Basterebbe un minimo di attività investigativa, ma non si fa. E al di là del fatto che sia coinvolta o meno la mafia, la corsa clandestina di cavalli è un fatto illegale. È un reato maltrattare gli animali? È un reato occupare la strada? È un reato impedire la circolazione delle persone? È un reato fare una manifestazione non autorizzata? Benissimo: allora, in quanto reati vanno perseguiti. Altrimenti non ci lamentiamo se poi la mafia o la criminalità organizzata crescono, perché l’illegalità nasce dalle piccole cose

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